AL CINEMA: L’indiscreto fascino del peccato

L’INDISCRETO FASCINO DEL PECCATO di Pedro Almodóvar. Con Cristina Sánchez Pascual, Julieta Serrano, Chus Lampreave, Carmen Maura. Spagna, 1983. Commedia.

Terzo film di Almodóvar, L’indiscreto fascino del peccato ha vinto un Sant Jordi (Migliore attrice spagnola a Serrano) e ha ricevuto una nomination ai Fotogramas de Plata. Yolanda, cantante di cabaret, uccide per errore il fidanzato con un’overdose di eroina, e temendo di essere condannata si rifugia nel convento delle Redentrici Umiliate. Le suore, in grave crisi economica, sono religiose decisamente fuori dal comune, che si avvicinano al peccato per comprendere meglio i peccatori…

Per comprendere Pedro Almodóvar, soprattutto il suo cinema giovanile, è necessario tenere presente il contesto in cui si sviluppa, quella Spagna che aveva appena riscoperto la libertà d’espressione, la liberazione sessuale, la democrazia partecipativa dopo i decenni della dittatura fascista di Francisco Franco. In questo contesto, Almodóvar si fa cantore degli eccessi come di una bandiera, simbolo di quelle libertà a lungo represse sotto il regime.

L’indiscreto fascino del peccato (plauso al titolo italiano, che pare una commedia scollacciata stile Lino Banfi: l’originale è un più banale Al buio) si muove su questa linea smaccatamente polemica e provocatoria, e prende di mira la Chiesa cattolica, istituzione religiosa e morale a lungo complice del franchismo in Spagna.

Il risultato è un film che il Festival di Cannes rifiutò perché considerato eccessivamente sacrilego, una commedia grottesca e surreale che punta costantemente all’esagerazione e che preme l’acceleratore su ogni possibile tema o quasi.

Il convento delle Redentrici Umiliate è un bestiario unico nel suo genere, a partire dai nomi delle suore scelti per una più profonda umiliazione, ma con “hobby” che vanno in direzione diametralmente opposta. La Madre Superiora (Julieta Serrano) è un’eroinomane e cocainomane, predatrice lesbica che sfrutta le opere di carità per avvicinarsi alle giovani ragazze che brama; Suor Ratto (Chus Lampreave) scrive di nascosto romanzi pornografici; Suor Letame (Marisa Paredes) è una masochista autolesionista perennemente sotto LSD; Suor Dannata (Carmen Maura) ha un rapporto morboso con i suoi numerosi animali, inclusa una tigre domestica; Suor Serpe (Lina Canalejas) ha una relazione col prete (Manuel Zarzo) e rivende con lui i vestiti che cuce per le statue della Madonna.

In questo contesto, la cantante di nightclub tossicodipendente Yolanda (Cristina Sánchez Pascual) appare praticamente come una santa, e non a caso le si imprime attorno al capo con una furba inquadratura l’aureola della santa nel dipinto alle sue spalle.

Con questa bizzarra galleria di personaggi a disposizione, Almodóvar inanella una serie di gag improbabili, imprimendo una struttura praticamente episodica al film senza trovare una quadra nella narrazione, che si arricchisce via via di ulteriori elementi assurdi, come la suora missionaria mangiata dai cannibali africani, il di lei figlio cresciuto dalle scimmie, una marchesa vendicativa (Mary Carrillo), traffici di droga fuori e dentro il convento, e così via.

Se nella rappresentazione Almodóvar si dimostra quasi castigato, non c’è alcun limite invece nella scrittura, ma un meccanismo che diverte e incuriosisce nei primi minuti diventa alla lunga stancante, espediente solo per una serie di siparietti autoconclusivi che stentano a creare un unicum credibile o plausibile.

L’idea di fondo dovrebbe essere quella di dimostrare l’anacronismo della vita religiosa nella Spagna moderna, presentandola come un retaggio medievale ormai ridicolo, ma la parodia in cui è distorta è così estrema da renderla irriconoscibile, e il senso della satira svanisce assieme alla credibilità del contesto.

Tutto finisce con l’essere “troppo” ne L’indiscreto fascino del peccato, sia l’umorismo, che dopo una scena di lotta tra una suora e una tigre non ha più modo di sorprendere ulteriormente il pubblico, sia il dramma, che non riesce mai a farsi prendere sul serio quel tanto che basta per empatizzare coi personaggi, sia la satira, che manca il bersaglio e si diverte con buffe ma innocue caricature. Poteva andare decisamente meglio.

TITOLO ORIGINALE: Entre tinieblas

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