AL CINEMA: Tacchi a spillo

TACCHI A SPILLO di Pedro Almodóvar. Con Victoria Abril, Marisa Paredes, Miguel Bosé, Féodor Atkine. Spagna, 1991. Drammatico.

Nono film di Almodóvar, Tacchi a spillo ha vinto dieci premi internazionali, tra cui un César (Miglior film straniero), e ha ricevuto altre otto nomination. Rebecca, annunciatrice di telegiornale, è felice per il ritorno della madre, l’attrice Becky del Páramo, in Messico da quindici anni. La presenza della donna, però, rinfocolerà il disperato desiderio d’amore della figlia, costantemente frustrato dal narcisismo della madre.

Tacchi a spillo avrebbe dovuto essere il film successivo a La legge del desiderio, e avrebbe dovuto presentarsi sotto una veste ben diversa. Nella visione originale di Pedro Almodóvar, il film sarebbe stato un dramma con protagoniste una madre-padrona e due figlie succubi, una delle quali sarebbe stata per sempre perseguitata dal fantasma della genitrice dopo la di lei morte in un incendio.

Fortunatamente l’idea non si trasformò subito in pellicola, e nel mezzo si è inserito il successo strabordante di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, che ha notevolmente contribuito al cambio di stile e paradigma di Almodóvar. Dell’originale, Tacchi a spillo conserva solo il titolo (in originale: Tacchi distanti, eco dei passi della madre sempre fuori portata), e si presenta sotto una veste completamente diversa.

Pur con l’ombra di Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman sullo sfondo, peraltro citato direttamente, il film si avvale di una narrazione composita brillante e inventiva, che mischia mélo, commedia surreale e giallo poliziesco, amalgamando gli stili in un unicum irresistibile.

Fortissimo l’impianto psicanalitico, con i personaggi che si riflettono l’uno nell’altro e che vanno a ricostruire un complesso edipico da manuale. La figlia porta lo stesso nome della madre, Rebecca, come se la seconda vedesse nella prima solo un’estensione di sé, un riflesso, un frammento di sé per colonizzare il futuro. La figlia ama la madre smisuratamente, anche patologicamente, e in maniera piuttosto esplicativa finisce a letto col travestito che imita la genitrice, non potendo farsi possedere da lei. Quest’ultimo è anche lo stesso uomo che in qualche modo porrà fine definitivamente al conflitto tra le due, incarnando l’autorità super-egotica che le pone una di fronte all’altra.

In questo quadro psicopatologico, che poteva dare il la a un dramma pesante e ammantato da toni da soap opera che pure non sono estranei ad Almodóvar, il regista inanella invece un affresco brioso e divertito, che riesce a trattare perfino scene obiettivamente strazianti (i flashback con Rebecca bambina) o scene di un delitto come spunti da commedia.

A Victoria Abril va il merito di riuscire a mantenere ogni scena nel quadro di una rinfrescante leggerezza, spiazzando continuamente con una interpretazione imprevedibile, perfetto contraltare della superba ma (volutamente) artificiosa Marisa Paredes.

Spezzoni musicali, la traduzione in lingua dei segni più esilarante della storia, battute fulminanti, malati immaginari e assassini reali, una spietata ironia ma anche una smisurata compassione per gli universi umani esposti rendono Tacchi a spillo uno dei migliori Almodóvar del primo decennio, un film inventivo, bizzarro, intelligente, che gioca col pubblico e coi suoi preconcetti, riuscendo al contempo a darsi una certa misura nella rappresentazione e nella scrittura.

Un po’ Agatha Christie e un po’ García Lorca, con uno sguardo a Ingmar Bergman e uno a Il mago di OzTacchi a spillo racconta la commedia umana con tutta la partecipazione possibile, salvando solo apparentemente lo status quo con un happy ending che è invece un’ultima beffa all’ordine costituito. Da recuperare.

TITOLO ORIGINALE: Tacones lejanos

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