AL CINEMA: Fantastic Machine

FANTASTIC MACHINE di Axel Danielson, Maximilien Van Aertryck. Svezia, Danimarca, 2023. Documentario.

Quinto film del duo Danielson-Van Aertryck, Fantastic Machine ha vinto tre premi internazionali, tra cui il Premio speciale della giuria al cinema documentario internazionale al Sundance, e ha ricevuto altre dieci nomination. Dalla camera oscura e l’invenzione della fotografia, passando per le prime immagini animate e la comparsa del cinema, fino all’onnipervasività dei social network nella rivoluzione digitale, si indaga il ruolo delle immagini nella società e la crescente ossessione dell’umanità nei loro riguardi.

Quello del rapporto tra umanità e immagine è, volendo, un viaggio lungo quanto la storia stessa, che rimanda fino al Paleolitico e alle prime pitture rupestri, e che prosegue poi tra statue, mosaici e dipinti per millenni. Quello con le immagini reali(stiche), però, è un rapporto molto più nuovo, ma anche più massivo e massificato, e ha inizio ai primi del XIX secolo con Joseph Niépce e l’invenzione che avrebbe cambiato il mondo: la fotografia.

Fantastic Machine parte da qui, da questo primo momento in cui l’uomo riesce a catturare un frammento di realtà, a congelarlo nel tempo e sulla lastra fotografica, seguendo poi gli sviluppi che della fotografia sono stati fatti da Louis Daguerre e, soprattutto, da Eadweard Muybridge, arrivando da questi ai fratelli Lumière e all’immagine animata, il video.

A produrre l’intera operazione, ed evidentemente in un ruolo più attivo e partecipe che non da “semplice” esecutivo, è il Ruben Östlund di The Square Triangle of Sadness, uno che con le immagini ci lavora, e che nei suoi lavori si è spesso interrogato sul rapporto tra queste e il proprio pubblico.

A dirigere, invece, sono chiamati Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck, che non a caso come specializzazione principale hanno quella di editor: due montatori, assemblano clip e video per creare una narrazione, trasformano la “nuda immagine” in storia, creano coerenza e progressione dove c’è solo fotografia del momento.

I tre insieme danno vita a un esperimento interessantissimo, che se a livello puramente storico è a malapena un bignami del tema trattato, nella realizzazione denuncia alcune particolarità che non possono non risultare affascinanti e coinvolgenti.

Con un tono beffardo e pesantemente satirico, Fantastic Machine mette in scena i vari bivi che si sono posti di fronte allo sviluppo della tecnologia dell’immagine, con produttori e fruitori che hanno scelto sempre e con spiazzante coerenza la via dell’intrattenimento più leggero, dell’appagamento immediato, della monetizzazione più efficace, arrivando agli eccessi di oggi resi ancora più surreali ed estremi dal fatto che la produzione di immagini è diventata un fenomeno globale e totale, alla portata di chiunque abbia uno smartphone.

Il film finisce col cadere facilmente nella pura aneddotica con la sua struttura smaccatamente episodica, eppure le immagini che mostra colpiscono nel segno, e delineano un ritratto sconfortante di una società narcisistica e progressivamente più stupida, catatonica davanti a schermi diventati onnipresenti.

Ci sarebbe da aprire una parentesi sull’involontaria (?) ironia dell’utilizzare gli stessi identici mezzi della società dell’apparenza e del mercato dell’immagine per condannare/mettere alla berlina la società dell’apparenza e del mercato dell’immagine, ma il riflesso metanarrativo e metacontestuale è praticamente inevitabile considerato il tema e il mezzo attraverso il quale è sviscerato.

Alla fine dei giochi, Fantastic Machine non rappresenta certo un documento completo ed esaustivo sul lungo e complesso rapporto tra cervello umano e immagini, in movimento o meno, ma serve bene la propria funzione di specchio oscuro (un vero e proprio Black Mirror), di riflesso sconcertante di un’evoluzione tecnologia inversamente proporzionale a quella culturale-intellettuale. Comunque da vedere.

TITOLO ORIGINALE: And the King Said, What a Fantastic Machine

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