INFINITY: Dark City

DARK CITY di Alex Proyas. Con Rufus Sewell, William Hurt, Kiefer Sutherland, Jennifer Connelly. USA, Australia, 1998. Fantascienza.

Terzo film di Alex Proyas, Dark City ha vinto dieci premi internazionali, tra cui un Saturn Award, e ha ricevuto altre quindici nomination, sei delle quali sempre ai Saturn. In una misteriosa metropoli perennemente avvolta nelle tenebre, John Murdoch si sveglia in una camera d’albergo ricercato per svariati omicidi, di cui non ha memoria. Durante la fuga, scopre che a mezzanotte in punto tutta la popolazione cade profondamente addormentata, mentre il gruppo di persone che lo insegue, gli Stranieri, riscrivono le loro memorie e modificano la planimetria della città. Cosa ancora più strana, John si accorge presto di possedere le stesse abilità sovrumane degli Stranieri…

Dopo il successo de Il corvo torna Alex Proyas con un progetto decisamente ambizioso, un film di fantascienza a tinte noir immerso nella stessa malsana oscurità del suo film precedente. La Dark City del titolo è una metropoli senza nome e senza passato, in cui ogni notte misteriosi individui pallidi demoliscono e ricostruiscono edifici con la sola forza del pensiero e cancellano la memoria dei cittadini riscrivendole in nuove identità, folli demiurghi che al pari di divinità greche manipolano come pedine i comuni mortali. Mantenendo la metafora mitologica, Rufus Sewell è il semidio che congiunge il piano divino a quello umano, l’eroe che si oppone alla tirannia degli Stranieri, ma anche l’uomo liberato dalla caverna di Platone e, da ultimo, pronto a diventare nuovo demiurgo.

La visione del film, però, non ha la speranza e l’ottimismo di quella platonica, e la prigione diventa l’unico orizzonte possibile, ornare le pareti della cella l’unica forma di libertà concessa. Proyas si conferma un esteta quasi visionario, e oltre a giocare con diretti riferimenti al cinema di genere degli anni Cinquanta, Il mistero del falco su tutti, pesca a piene mani anche dall’esperienza dell’espressionismo tedesco, tra M – Il mostro di Düsseldorf e Il gabinetto del dottor Caligari, da Nosferatu il vampiro a, soprattutto, Metropolis, concedendosi anche qualche riferimento più recente soprattutto al Blade Runner di Ridley Scott, al Brazil di Terry Gilliam e perfino all’Akira di Katsuhiro Otomo.

Anticipando un cult generazionale come Matrix, Alex Proyas mette in scena una distopia agghiacciante e seducente in cui la razza umana è inconsapevole schiava di “altri”, compulsivamente intenta a vivere vite prive di significato e ignara perfino di vedere il proprio passato, e quindi la propria identità, cancellato notte dopo notte, in un incubo kafkiano da cui pare non esserci salvezza.

Gli inquietanti Stranieri, che portano nomi “neutri” come Book, Wall e Hand, sono dittatori che comandano da dietro le quinte, architetti instancabili e dèi capricciosi che abitano i morti e manipolano i vivi, una mente collettiva che cerca il segreto dell’individualità ma lo fa, come rimarca Richard O’Brien, “nel posto sbagliato”.

Pur con qualche ingenuità tematica, il percorso di formazione di Rufus Sewell si svolge in modo appassionante e intelligente, un eroe riluttante e “dio per caso” che sogna solo l’amore di Jennifer Connelly e una spiaggia assolata, guidato dall’improbabile psicopompo Kiefer Sutherland, che si chiama come lo schizofrenico autore di Memorie di un malato di nervi Daniel Paul Schreber, e assistito dal detective d’altri tempi William Hurt.

Come fa con le vie e i palazzi della città, Dark City costruisce e decostruisce, mostra un mondo in cui la verità è sempre poco fuori portata e in cui il reale non ha diritto a essere considerato tale, e ci trascina dentro un pubblico che non può che farsi affascinare da maestose architetture liquide e da una fotografia che più dark non si può. Ingiustamente misconosciuto, un film quasi epocale.

TITOLO ORIGINALE: Dark City

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